Lo zen e l’arte dell’ormeggio

9 Febbraio 2017

È l’atto finale quello che decreta e chiude la giornata in bellezza come un gol vincente chiude una partita di calcio già giocata benissimo. L’ormeggio è quella cosa lì, è il momento in cui lo skipper ha gli occhi di tutti puntati addosso e non può sbagliare. È arrivato il momento di dare conferma alle promesse di sicurezza e disinvoltura esibite nelle manovre in mare durante tutto il giorno. Tutto là al largo è stato fatto nel modo giusto. Il capitano si è dimostrato ancora una volta impeccabile e sicuro di sé. Calmo, ma deciso. Sereno, ma attento. Spensierato, ma determinato.

Eccolo come è, dovrebbe, e sicuramente si sente ogni skipper, ogni perfetto uomo di mare. Ma è nel momento in cui si avvicina la terra, nelle manovre dell’attracco, che la scioltezza e la sicurezza lo elevano da capo cannoniere a Pallone d’oro. Da vincitore a Campione.

Oltre agli occhi di tutto l’equipaggio spesso sono per lui anche le parole. Nel senso che l’ormeggio scatena e solitamente non solo negli uomini, l’ansia da barbeque: ognuno si sente di dire la sua esattamente per come va acceso il fuoco o quando vanno girate le costine di maiale, solo perché crede che avendo la barca il timone simile al volante della macchina, questa si manovri con la stessa logica. Che in fondo è un po’ vero, ma solo in teoria. Nella pratica è tutto diverso. Sarebbe come dire che ogni donna magrolina, mora e spagnola emani lo stesso fascino seducente di Penelope Cruz.

Durante questo chiacchiericcio da riunione condominiale, a volte roboante altre solo percepito, lo skipper di solito usa il suo strumento di comunicazione non verbale più potente ed efficace: lo sguardo. Le palpebre serrate e il ciglio corrugato fan smorzare tutti i balbettii, calando tutta la barca in un silenzio tombale, quasi sacro.

L’ormeggio in realtà un’insieme di manovre sincronizzate fra loro. Meglio se perfettamente sincronizzate. Lo skipper in condizioni normali può cavarsela da solo, come in una perfetta azione da fondo campo. Se invece la giornata è di quelle impegnative con vento anche in porto, l’aiuto dell’equipaggio è equivalente a quello della squadra e l’azione va quindi costruita insieme. Che sia chiaro alla fine lui ha sempre le soluzioni e sa cavarsela, ma nei 5 secondi finali, quando la barca si sta infilando in un buco che spesso è più stretto della sua larghezza massima non sarebbe male che qualcuno lanci le cime di poppa a terra. Ancora una volta, lui sa farlo e può farlo, senza problema, ma è arrivato adesso il momento di girare le costine. Vediamo quindi se chi parla, sa.

L’ormeggio è poi anche una versione marina della tv… per chi se ne sta placido in banchina. Il porto brulica di gente che ha già fatto il suo e sta perdendo tempo godendosi il bello della fine della giornata in mare, e l’inizio di una fantastica serata a terra, e non vede l’ora di allenarsi a fare quello che ogni pensionato che si rispetti sa fare benissimo: mani in tasca, finta disinvoltura e guardare dalla banchina con la pelle profumata, sigaretta e birra in mano, l’arrivo di un’altra barca. Certo perché lo skipper non ha addosso solo gli occhi dei suoi tifosi, l’equipaggio, ma anche quelli delle squadre concorrenti, che in fondo fondo un pò ci godono nel vedere un’azione finita male.

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